Recensione: Ascolta il mio cuore


Ascolta 

il mio cuore


Struttura 

del romanzo 

e target 

di riferimento

Con la recensione di oggi, proseguiamo la trilogia interdipendente dell'autrice Bianca Pitzorno, di cui abbiamo già parlato quando abbiamo trattato il romanzo “La voce segreta”.
Proseguiamo quindi con il secondo racconto, ossia il romanzo “Ascolta il mio cuore”.
Questo libro a differenza del volume precedente, è stato concepito per un pubblico di età non superiore ai 10 anni. Da bambina lo lessi che avevo appunto dieci anni e per me fu un'esperienza davvero emozionante.

Copertina del romanzo di Arnoldo Mondadori Editore S.p.A

Apparentemente può sembrare un libro spaventoso per un bambino; infatti è davvero molto grande (chissà perché i bambini han sempre paura dei libri molto voluminosi) e dal titolo poco accattivante; ma se avrete l'immensa fortuna di leggerlo (o di farlo leggere) vi assicuro che non ve ne pentirete  un solo giorno nella vita.
La trama di base è semplicissima e le vicende sono ambientate in una classe interamente femminile, ossia la IV elementare sezione D dell'istituto scolastico statale“Sant' Eufemia”.
Come quasi tutti i libri di quest'autrice, anche qui tutto è ambientato in terra sarda, in una cittadina non meglio identificata (in realtà verrà identificata nel romanzo successivo, “Diana, Cupido ed il Commendatore”).
Le protagoniste della vicenda sono tre bambine di nove anni, amicissime da sempre, che frequentano la sopracitata classe: Prisca Puntoni, Elisa Maffei e Rosalba Cardano.

La scrittrice Bianca Pitzorno


Il filone principale ruota attorno allo svolgimento dell'anno scolastico 1949/1950 ed il tutto è raccontato dal punto di vista del cosiddetto“narratore onnisciente”che conosce i pensieri di tutti i personaggi coinvolti nella storia.
Parla principalmente della lotta delle tre ragazzine durata l'intero anno scolastico contro la loro perfida e malvagia nuova insegnante: la maestra Argìa Sforza, che abbiamo già avuto la disgrazia d'incontrare nel romanzo precedente di questa piccola saga.
Il manoscritto è stato diviso in dieci parti, suddivisi in piccoli capitoli di numero variabile. Ognuna di queste dieci parti prende il nome del mese scolastico in cui si animano le vicende; si parte da Settembre e si termina a Giugno.
Ognuna di queste dieci parti termina con un lungo scritto di Prisca Puntoni (una delle tre protagoniste), totalmente ispirato ad un qualcosa accaduto durante il mese che ha profondamente colpito la bambina. Infatti Prisca arriva a scriverci a riguardo una storia di fantasia, una lettera o addirittura (come vedremo nel mese di Marzo), un problema matematico.
 
Una delle copertine del romanzo

Il linguaggio è estremamente semplice e fluido, adattissimo al suo pubblico e contesto. Inoltre il modo dell'autrice di raccontare, riflette pienamente il pensiero dei bambini e non mancano le numerose parti umoristiche, che portano il lettore ad empatizzare con le tre bambine ed a farsi grasse risate.
Tuttavia non bisogna dimenticare che in quanto libro per ragazzi punta anche ad uno scopo più alto, ossia l'insegnamento.
Attraverso la storia di Prisca, Elisa e Rosalba veniamo a conoscenza della realtà del secondo dopoguerra italiano; dei modi in cui venivano vissuti i rapporti tra le persone rispetto ad oggi, l'importanza dell'istruzione, dello spirito di sacrificio e delle profonde ingiustizie sociali del nostro Paese e che purtroppo hanno continuato a perdurare fino al giorno d'oggi.
“Ascolta il mio cuore” presenta senz'ombra di dubbio la forte impronta nonché la stessa struttura basica del libro “Cuore” di Edmondo De Amicis. Infatti è un vero e proprio romanzo di formazione. Esattamente come il suo storico predecessore.

Il contesto 

storico e

culturale 

di riferimento

Il contesto storico e culturale di riferimento è lo stesso identico medesimo di cui ho già parlato nella recensione sul romanzo “la voce segreta” (consiglio di leggere l'omonimo paragrafo della precedente recensione per avere una visione a tutto tondo della questione).
In questo paragrafo mi limiterò a soffermarmi su alcune caratteristiche peculiari di questo libro, che nel precedente non aveva senso sottolineare.
Come ho già anticipato, siamo nell'anno scolastico 1949/1950 ed è da poco terminata la seconda guerra mondiale.
L'Italia da paese perdente e distrutto qual era, inizia a mostrare i primi segni di rinascita, che vedremo nella sua più alta manifestazione nell'emergente ceto borghese.
Tuttavia la classe operaia ed i poveri sono ancora molto numerosi.
Famiglie composte da numerosi figli, nell'impossibilità di mantenerli, spesso venivano mandati a compiere lavori  umili e faticosi al solo scopo di permettere agli stessi genitori e parenti di sopravvivere.
Non esisteva la scuola materna ma s'iniziava direttamente alle elementari.
La scuola era obbligatoria per legge fino alla quinta elementare, dopodiché vi erano tre possibili scelte: lasciar perdere tutto ed andare a lavorare (opzione delle famiglie povere); l'avviamento professionale, ossia una scuola che preparava ad un certo mestiere che avrebbe permesso di lavorare già a 14 anni (scelta dei piccoli borghesi o piccoli artigiani); oppure le scuole medie, superiori, ed infine l'università (scelta dalle famiglie ricche e benestanti).  
Al fine di non incentivare l'abbandono scolastico, il ministero dell'istruzione dopo la riapertura delle scuole pubbliche (ovviamente non per le scuole paritarie o private) aveva fornito ogni scuola del Patronato scolastico.
Si trattava di una specie di ente benefico che metteva a disposizione degli alunni provenienti da famiglie povere e disagiate un pasto gratuito al giorno, chiamato “refezione” dal nome del refettorio, ossia il luogo dove appunto i bambini consumavano questo pasto gratuito.
Sempre per contrastare malattie come rachitismo e denutrizione (visto che gli unici alimenti consumati dai poveri erano pasta, patate ed erba dei campi) il patronato offriva agli studenti indigenti il famosissimo e disgustoso ricostituente chiamato olio di fegato di merluzzo.
Questo tipo di olio era di fatto un concentrato di vitamine uniche nel suo genere, ideale per un organismo in crescita come quello di un bambino.
Agli insegnanti era affidato l'obbligo di dare un cucchiaio al giorno del famoso ricostituente (il cucchiaio i bambini dovevano portarlo da casa) e di fare dei turni ben precisi in refettorio se questi avevano nella loro classe degli studenti bisognosi.
Tutto questo non riguardava i bambini benestanti, che invece al suono della campanella andavano a pranzare in casa propria.
Le case di queste persone erano spesso piene di domestiche, che altro non erano che ragazze povere provenienti da famiglie totalmente disagiate. Queste giovani donne per sfuggire alla miseria ricorrevano spesso a questo tipo di lavoro, dato che garantiva loro pasti regolari ed un sano stile di vita.
Le classi erano interamente femminili o maschili; le classi miste erano considerate degli esperimenti audaci e non erano ancora molto diffuse.
Gli insegnanti erano liberi di impartire punizioni corporali ed i genitori normalmente erano sempre dalla parte di questi. Nelle famiglie povere venire rimproverati dalla maestra equivaleva al dare problemi; e quindi le botte fioccavano come neve. Non esistevano i giudizi nelle scuole elementari, ma una gamma di voti che andavano dallo 0 al 10 e lode, esattamente come nelle scuole superiori di oggi.
In pochissimi possedevano l'auto quindi si poteva giocare fuori senza pericoli. Non esistevano né le televisioni, né gli assorbenti usa e getta, né i fast food, né la Coca Cola.
In compenso si andava tantissimo al cinema a costi assolutamente non proibitivi ed alla portata di tutti.
In un mondo senza una tecnologia esasperante i rapporti tra le persone nel bene e nel male venivano curati molto più di oggi, e spesso acquisivano un'importanza fondamentale per lo sviluppo fisico e cognitivo di un bambino.
Nei ceti alti c'era sicuramente una forte propensione ed esasperazione a preservare il proprio status sociale (a volte non in modo propriamente lodevole), ed a curarlo al punto tale da interessarsi in maniera spesso esagerata della pubblica opinione su qualunque cosa.
Invece i ceti bassi non se ne preoccupavano affatto, restando così prigionieri del loro stesso immobilismo sociale.
Il rapporto fra genitori e figli era profondamente condizionato da un forte senso di sudditanza dei secondi verso i primi. Vi era poco dialogo e poca complicità.
Un esempio abbastanza evidente nei libri della Pitzorno è il fatto che le figure genitoriali non vengono mai definite per nome. Anzi spesso neanche si conosce il loro nome.
Sono sempre “La mamma” “il papà” “il nonno” che sta a sottolineare una profonda distanza emotiva da quelli che di fatto dovrebbero essere le principali figure di riferimento di un bambino.
Un rapporto basato su una rispettosa ed amorevole distanza quindi.

Prisca Puntoni, 

la guerriera 

con la penna

Prisca Puntoni è una delle tre ragazzine protagoniste di questa storia.
È una bambina di nove anni e proviene da un ceto sociale abbastanza elevato.
Il padre, di cui non viene mai fatto il nome, è un avvocato, mentre la madre, (della quale neppure viene mai fatto il nome) non esercita alcuna professione.
Il padre è poco presente nella narrazione e quelle poche volte che lo vediamo è quasi sempre il ritratto dell'indifferenza. Non ha interesse per la vita sociale dei figli a nessun livello, e quando Prisca gli racconta qualcosa risponde sempre che la figlia deve imparare a cavarsela da sola. Un Ponzio Pilato del foro praticamente.
La signora Puntoni invece merita un approfondimento a parte. Leggendo il romanzo, si evince come la madre di Prisca provenga da una famiglia molto povera. Pare una famiglia di pecorai.
Appare abbastanza evidente come il matrimonio abbia favorito una certa ascesa sociale della donna. Infatti è ossessionata da come appare agli altri. Sempre perfetta, mai un capello fuori posto, elegantissima, non fa altro che preoccuparsi costantemente della propria immagine e di quella dei familiari.
Non parla mai della sua famiglia d'origine, ed è (spiace dirlo) una grandissima leccapiedi.
Sempre compunta e sottomessa quando si trova a dover avere a che fare con persone socialmente più elevate di lei da una parte; arrogante, prepotente ed indifferente verso chi è socialmente più debole di lei dall'altra.
Una delle cose più evidenti è proprio la profonda diversità che caratterizza madre e figlia.
Prisca è una bambina totalmente genuina. Genuina nei sentimenti, nei pensieri, nelle azioni e con uno spiccato e profondo senso della giustizia, oltre che profondamente emotiva. Il titolo del romanzo infatti s'ispira al suo particolare vezzo di andare in tachicardia nervosa quando assiste ad una profonda ingiustizia.
Non ama le apparenze a nessun livello, tanto fisico quando morale, desidera fare del bene per quanto le è possibile ed è molto protettiva ed affettuosa verso i familiari e le amiche. Diciamo che in un certo senso ha proprio la purezza che dovrebbe caratterizzare una bambina di nove anni.
Questo suo atteggiamento la porta spesso a scontri con bambine più maliziose e palesemente influenzate dai genitori (prima fra tutte l'odiosissima Sveva Lopez Del Rio), con alcuni adulti, e soprattutto con la madre.
La signora Puntoni non apprezza quasi nulla del modo di fare e di essere della figlia, ed avendo molta difficoltà a piegarne il carattere forte e focoso, spesso ricorre ai ceffoni. Vorrebbe che la figlia l'assecondasse in tutto e che assomigliasse di più alle sue coetanee figlie di alto borghesi ma Prisca sistematicamente non lo fa mai.
La bambina di contro, raramente parla con la madre dei suoi problemi, consapevole del fatto che la genitrice tanto darebbe la colpa a lei in ogni caso.
Non ritengo la signora Puntoni un esempio lodevole sinceramente.
Ha pochissima cura dei figli, quasi nulla. Non si occupa della casa a nessun livello. Non lavora. Mi ha sempre dato l'impressione di un'arrampicatrice sociale. Né più né meno.
Poi ci sono il fratello maggiore di Prisca, Gabriele Puntoni, un ragazzino vispo e sveglio di undici anni che sogna di diventare un inventore (ma che sembra anche aver ereditato la fredda indole genitoriale) ed il fratellino Filippo Puntoni, di appena un anno.  
Con i Puntoni vivono anche la governante Antonia e la bambinaia Ines, alla quale Prisca è particolarmente legata. Prova per lei un grande affetto, paragonabile a quello che si proverebbe per una cugina più grande.
Ines viene da una famiglia poverissima di origini montanare, ed il diventare la domestica di casa Puntoni l'ha letteralmente salvata da una vita di totale miseria.
Dopo l'assunzione, Ines ha perso ogni contatto con la famiglia d'origine (nemmeno loro si son mai messi in contatto con lei a dirla tutta) e si è abituata a considerare la nuova famiglia come propria.
In casa Puntoni spesso è presente anche il nonno Puntoni (padre di suo padre) anche lui avvocato che è abbastanza legato alla nipotina ed è spesso in compagnia della moglie, la signora Teresa, la matrigna del padre di Prisca.
Il nonno ha la passione per l'opera lirica, con cui ha contagiato anche la nipotina. Infatti Prisca ed il nonno una volta la settimana si recano a teatro ad assistere agli spettacoli di opera lirica come la Madama Butterfly, Celeste Aida ecc.
Altra componente fondamentale della famiglia (e leggendo il libro capirete anche il perché) è Dinosaura Puntoni, la tartaruga terrestre di Prisca. Lei e la governante Antonia si detestano da sempre, e non si sa per quale motivo spesso la tartaruga tende agguati all'anziana governante mentre svolge le pulizie.
Prisca è dotata di una fantasia straordinaria, ottima padronanza della lingua italiana e di un precoce talento per la scrittura.
Il dottor Maffei (lo zio della sua amica Elisa) ogni anno regala a Prisca le agende ricevute in promozione dalla case farmaceutiche, che lei poi usa per scriverci sopra le sue storie come se fossero dei libri veri. È anche capace di comporre versi molto rapidamente.
Vuole avere diciassette figli (nove femmine ed otto maschi) solo per fare un dispetto alla madre che non fa altro che lamentarsi di quanto siano fastidiosi i bambini. Da grande ovviamente vorrebbe fare la scrittrice.
La sua fantasia è talmente galoppante che tanto per citarvi un esempio, il primo giorno di scuola riceve dalla maestra Sforza il compito di fare un tema in classe intitolato: “La professione di mio padre”; e come lo svolge la nostra Prisca? Crea un componimento dove PALESEMENTE la bambina fa capire che il padre di professione fa lo scassinatore ed il ladro di banche.
Inutile dire che la maestra darà a questo capolavoro un bel tre come valutazione.
Questo è solo un assaggio di quello che la nostra è in grado di scrivere e vi assicuro che leggendo il romanzo si arriverà a toccare vette inenarrabili da questo punto di vista.

Elisa Maffei, 

la pupattola 

pane e zucchero

Elisa Ippolita Maria Maffei è la seconda protagonista di questa storia. È la migliore amica di Prisca e le due bambine si conoscono da quando avevano rispettivamente una tre settimane e l'altra due mesi.
Le due si conoscono così presto perché il padre di Prisca è un grandissimo amico del defunto padre di Elisa (Giovanni Maffei) e del di lui fratello gemello, il dottor Leopoldo Maffei, zio Elisa.
Elisa infatti è rimasta orfana all'età di due anni. I suoi genitori Giovanni Maffei ed Isabella Gardenigo sono morti sotto i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Per puro caso Elisa non si trovava con loro, in quanto l'avevano affidata temporaneamente alla nonna paterna, Mariuccia Maffei.
Dopo la morte di Giovanni ed Isabella, inizia una vera e propria contesa tra i Maffei e i Gardenigo su chi si sarebbe dovuto accupare dell'orfana.
Da una parte, la famiglia Maffei composta dalla nonna Mariuccia, gli zii Baldassarre (lo zio idealista), Leopoldo (lo zio saggio e concreto) e Casimiro (lo zio sanguigno).
Questi erano rispettivamente il fratello maggiore, il fratello gemello ed il fratello minore del padre di Elisa. Tutti scapoli (almeno fino alla fine del romanzo).
Con loro vive anche l'anziana tata Isolina (che era stata la bambinaia della nonna, del padre, e degli zii) ed il gatto Ciccio.
Dall'altra parte la famiglia Gardenigo, composta dai nonni Anastasio e Lucrezia, genitori della defunta madre, che era la loro unica figlia. I Gardenigo sono nobili di ascendenza spagnola, ricchi ed influenti. La loro casa è una villa antica piena di domestici.
Non riuscendo a mettersi d'accordo, in extremis le due famiglie decidono di giocarsi ai dadi l'affidamento di Elisa. Lo zio Leopoldo contro il nonno Anastasio. Lo zio Leopoldo vince e diventa a tutti gli effetti il tutore legale di Elisa.
Elisa è tutto, tranne che una povera orfanella. I tre zii che sono rispettivamente un architetto, un cardiologo ed un ingegnere, non le fanno mancare nulla, a nessun livello. Ovviamente anche i nonni materni contribuiscono, e la piccola viene allevata non dico come una principessa, ma ci siamo quasi.
Non ha mai preso uno schiaffo in vita sua, ha una camera tutta per sé dove nessuno entra senza chiedere il permesso, e la sua famiglia rispetta profondamente le sue opinioni ed i suoi bisogni.
Elisa infatti comunica molto con la nonna e con gli zii (molto meno con i nonni Gardenigo) e loro l'ascoltano e l'aiutano là dove possibile. Ha un carattere mite, buono e tranquillo perfettamente controbilanciato da quella polveriera che è l'indole di Prisca.
Infatti le due bambine hanno una visione della vita e delle cose molto simile, solo che la manifestano in modo completamente diverso. Anche Elisa come Prisca non sopporta le ingiustizie ma è decisamente meno emotiva ed istintiva.
Questo suo carattere tranquillo, pacato e delicato la porta ad essere molto apprezzata dagli adulti.
A scuola è molto brava e diligente ed eccelle in tutte le materie anche se non possiede né l'abilità letteraria di Prisca, né il talento in disegno e matematica di Rosalba.
Elisa è il membro del trio che ho sempre amato meno. Adoro la sua famiglia, l'unica veramente degna di nota tra quelle del romanzo, ma lei mi è sempre stata indifferente come personaggio proprio per questo suo carattere così poco rilevante.
Anche se ho apprezzato la profonda stima che nutre nei confronti di Prisca ed il profondo affetto sincero che prova per le sue amiche ed i suoi familiari.

Rosalba 


Cardano, 

il fido 


Kammamuri

Rosalba è la terza protagonista della storia. Le sue vicissitudini personali e familiari vengono raccontate nel dettaglio (anche troppo) in un tema che Prisca svolge in terza elementare, guadagnandosi un bel 10 e lode dalla maestra Sole.
In realtà il tema era intitolato “La mia famiglia” ma Prisca stufa di parlare sempre dei suoi, aveva deciso di parlare dei Cardano che conosceva comunque da tantissimo tempo.
Scopriamo che Prisca ed Elisa hanno conosciuto Rosalba prima di frequentare la scuola elementare e che le tre da allora, non si erano mai più separate.
Ha una famiglia sotto molti aspetti simile a quella di Prisca.
Il padre, il signor Cardano (non viene mai detto il nome) possiede un negozio d'abbigliamento chiamato “Cardano, l'eleganza a portata di mano” che pare appartenga loro da moltissime generazioni.
Nel periodo natalizio invece diventa “Il Paradiso dei bambini”,   l'unico negozio di giocattoli in città.
Vi lavorano diversi commessi, magazzinieri, ma soprattutto il signor Piras il vero faro di speranza di casa Cardano.
Ufficialmente il signor Piras è il magazziniere del negozio, incaricato anche delle pulizie.
Tuttavia poiché la madre di Rosalba, la signora Cardano (non si conosce neppure il suo nome) non svolge le pulizie in casa propria, è il signor Piras ad andare da loro a pulire tre volte la settimana. Ha anche il compito di accompagnare Rosalba ed i fratelli dappertutto, visto che il padre lavora ed alla madre non interessa farlo.
I due fratelli maggiori di Rosalba si chiamano Leonardo e Michelangelo, in quanto la madre è devota ai pittori antichi piuttosto che ai santi. Rosalba pare fosse il nome di un'antica pittrice veneziana.
La madre di Rosalba fa la pittrice. Non lo fa a livello professionale, infatti non si legge da nessuna parte che viva o guadagni con i quadri che dipinge, ma non ha interesse a fare nient'altro. Oltre a non pulire la casa e a non accompagnare nessuno dei tre figli da nessuna parte, non cucina nemmeno.
Il signor Cardano infatti, ha il conto aperto dal droghiere Santini ed alla pasticceria Manna. Lì i figli fanno colazione e ritirano il pranzo e la cena che consumano già cotta a casa. I ragazzi Cardano possono anche prendere il taxi ogni volta che sono in ritardo. I tassisti vengono pagati alla cassa della pasticceria Manna.
A fine mese il padre va a pagare.
Rosalba per questo motivo tratta e considera come un suo nonno il signor Piras, ovviamente ricambiata, infatti il motto della bambina è sempre: “Come faremmo senza il signor Piras!”.
Il padre di Rosalba è molto serio, professionale, ed è sicuramente più alla mano rispetto al padre di Prisca. Ma questo credo sia dovuto al mestiere che esercitano.
In casa Cardano si comunica abbastanza ma Rosalba non si sbottona più di tanto con i genitori, preferisce risolvere da sé i suoi problemi. È una bambina estremamente pratica, talentuosissima in matematica (come il padre) ed in disegno (come la madre) ma è consapevole di avere una scarsissima memoria.
Spesso è lei a fare i disegni delle storie sulle agende di Prisca. Anche lei ovviamente adora il talento compositivo dell'amica, anche se sembra molto più legata ad Elisa. Ha un carattere forte, estremamente pratico e nel trio è lei la stratega.
Di solito Prisca ha le idee di base, Rosalba le perfeziona e le rende concretamente attuabili ed Elisa grazie al suo charme e al suo dono di piacere alla gente, è quella che riesce a trovare alleati per fare in modo che si realizzino.
Casimiro Maffei, uno degli zii di Elisa, è un grande appassionato della saga “la tigre della Malesia” ed ha battezzato Rosalba “Il fido Kammamuri” per via del suo carattere buono e leale.

Il ritorno 


della maestra 

Argìa Sforza, 

l'antagonista

Abbiamo già avuto modo (nel precedente romanzo della trilogia) di conoscere questa disgrazia di donna.
Tuttavia in questo romanzo la sua cattiveria e la sua vigliaccheria arriveranno a livelli da Oscar, rendendola la principale e forse unica vera antagonista di questa storia.
Abbiamo lasciato la signora Sforza alla scuola elementare paritaria della “Madonna dell'Ascensione” dove la piccola Cora aveva avuto la sfortuna di doverci trascorrere quattro mesi della propria vita.
Qui scopriamo che la scuola elementare pubblica “Sant'Eufemia” dopo aver appreso della bravura della docente, le aveva chiesto il trasferimento nella loro struttura. La signora Sforza si era informata molto bene prima di acconsentire, e solo dopo aver ricevuto l'assoluta conferma che le sarebbe stata assegnata la sezione D, aveva accettato.
Come mai la signora Sforza aveva tanto insistito per ottenere proprio la sezione D?
È presto detto. La sezione D era considerata la migliore sezione femminile di tutta la scuola, in quanto per volontà del corpo amministrativo, in quella sezione confluivano solo bambine appartenenti ai ceti sociali più elevati.
Parliamo quindi di figli di alto borghesi, nobili, e qualche bambino di piccola borghesia, ma non messi così male da aver bisogno di consumare il pasto giornaliero alla refezione scolastica o di ricevere il ricostituente all'olio di fegato di merluzzo.
Insomma la donna voleva una classe che fosse estremamente simile ad una di quelle dell'Ascensione la scuola che stava lasciando.
Alla signora Sforza viene assegnata direttamente una quarta elementare in quanto all'epoca era prassi negli istituti scolastici avere una sola maestra dalla prima alla terza elementare, per poi cambiarla negli ultimi due anni.
Prisca, Elisa e Rosalba infatti hanno lasciato la loro buona maestra la signorina Sole, una donna descritta come molto capace ed affettuosa. Infatti nessuna delle bambine della sua classe presenta lacune d'apprendimento, nemmeno le più capre.
La signora Sforza ha obiettivamente del talento nel suo mestiere: è preparata, pignola in maniera esasperante ed è moderna nei metodi di studio. Basti dire che tiene lezioni di zoologia dal vivo oppure usa il giradischi per fare lezione di musica, cosa assolutamente rara per quei tempi. Tuttavia questa bravura in ambito professionale, scompare completamente però quando si va ad osservarla sul lato umano.
La donna è severa in modo esagerato ed è una classista di primissima categoria.
Infatti la sua contentezza di aver ottenuto la sezione D scompare quando scopre che il direttore le ha assegnato (obbligatoriamente e senza possibilità di rifiuto) anche due bambine ripetenti della sezione H palesemente provenienti da famiglie dei vicoli: Adelaide Guzzòn e Iolanda Repovìk.
Da quel momento la signora Sforza inizierà una guerra senza quartiere alle due nuove arrivate, colpevoli soltanto di essere povere e di “rovinare” così il tono della sua classe.
All'inizio le scaccia in quanto sprovviste al collo del fiocco rosa a pallini celesti (nastro espressamente richiesto da lei per la sua esclusivissima classe, che si vendeva solo dal merciaio di viale Gorizia).
Al loro ritorno s'inventa un'ispezione mattutina sull'igiene personale delle bambine, dove per l'occasione, taglia a tradimento le trecce di Adelaide  (“Puoi metterci su un allevamento di pidocchi” sarà il suo commento dopo il taglio).
Dopo Natale le punisce a colpi di bacchetta sulle mani fino a farle sanguinare usando una scusa palesemente falsa e ridicola; prende Adelaide a ceffoni per aver fatto cadere per sbaglio il suo cucchiaio usato per l'olio di fegato di merluzzo; fa bere a Iolanda dell'acqua insaponata; e potrei andare avanti per ore.
Alla fine riesce nel suo intento. Le fa espellere dalla classe per sempre, prima Iolanda in Febbraio, poi Adelaide in Aprile.
L'atteggiamento della signora Sforza è profondamente disonesto anche verso le altre alunne.
Offre lezioni private a otto bambine (nascostamente dal resto della classe) in quanto figlie delle migliori famiglie della città (Elisa e Rosalba la scoprono per caso) e bacchetta sistematicamente ad ogni occasione sei bambine che non sono figlie di professionisti, e quindi con genitori non pericolosi per lei. Le bambine infatti erano figlie di meccanico, ortolano, bidello, sartina, bracciante e falegname.
Umiliante è l'episodio dove Angela Cocco la figlia dell'ortolano, le porta dei fiori in regalo provenienti dall'orto di suo padre. All'uscita da scuola la signora Sforza regalerà quegli stessi fiori alla madre di Alessandra Mandas, moglie di un professore universitario, spacciandoli per un proprio dono.
Da allora tutti i fiori ricevuti da queste bambine di famiglie molto umili finiranno sempre regalati alla moglie di qualche ricco di turno. Prima fra tutte, la madre di Sveva Lopez del Rio che ne riceverà addirittura tre mazzolini lo stesso giorno.
Di fronte a queste palesi ingiustizie ed un clima scolastico pesantissimo, il mitico trio cercherà di vendicarsi della maestra, usando Elisa come esca, l'unica la cui famiglia sarebbe veramente scesa in campo in caso di aggressione nei suoi confronti. Come andrà a finire lo scoprirete solo leggendo.


 
(Da sinistra) Prisca, Rosalba ed Elisa

Prisca per tutto l'anno renderà la signora Sforza protagonista delle sue invettive letterarie, arrivando a definirla nelle sue storie nei modi più disparati: Argus Von Sforzesky nella storia dove interpreta il terribile ufficiale austriaco nemico dei partigiani italiani; Arcigna Storta nella storia che lei porta come compito di fantasia dopo l'episodio di Adelaide presa a ceffoni per via della caduta del cucchiaio; Arpìa Sferza nella storia ambientata nel giorno dei morti, dopo che Prisca aveva visto la maestra umiliare la famiglia di Adelaide in pubblico; Agonìa Smorta in un problema matematico dove interpreta la parte di un'usuraia e così via discorrendo.
Rosalba sarà l'unica a sfidare pubblicamente la maestra in qualche occasione, sempre in difesa di Iolanda ed Adelaide.
Prisca infatti, non è coraggiosa come l'amica in quanto nonostante il carattere focoso ha troppa paura della madre; mentre Elisa non ha un'indole guerrafondaia anche se alla fine dovrà farsela venire.
Purtroppo però la maestra riuscirà abilmente a peggiorare le cose proprio grazie all'intervento di Rosalba. Infatti la ragazzina per paura di fare ancora più danni, alla fine desiste.
La signora Sforza ha sicuramente dalla sua un enorme talento come leccapiedi. Infatti con i suoi palesi e fintissimi atteggiamenti servili e bonari di fronte ai genitori, riesce a guadagnarsi comunque la loro stima e la loro fiducia. Infatti nonostante la trappola tesale da Prisca, Elisa e Rosalba la donna non verrà scacciata dalla scuola e nemmeno subirà chissà quale provvedimento disciplinare.
Un episodio sopra tutti vede la signora Sforza baciare Elisa in pubblico nello stesso identico punto del viso dove fino a due secondi prima l'aveva baciata la nonna Lucrezia, che quel giorno l'aveva accompagnata a scuola. Semplicemente disgustosa.
Per immensa fortuna delle tre bambine, la signora Sforza come sua singolare abitudine deciderà di far fare alla sua classe il salto della quinta elementare di comune accordo con i genitori.
Questo però non per le sei bambine figlie di genitori umili che invece faranno l'esame di quarta elementare, in quanto destinate all'avviamento professionale e non alle scuole medie. Infatti per loro come da legge, era obbligatorio l'esame di quinta.
In realtà anche lo zio Leopoldo non sarà molto contento di far saltare la quinta elementare alla nipote, in quanto non a favore di un sistema scolastico che privi un bambino di un anno d'infanzia.
Tuttavia alla fine deciderà di far scegliere ad Elisa che ovviamente opterà per il salto solo perché i genitori di Prisca ed Rosalba sono ben determinati a farlo fare alle loro figlie.
La signora Sforza è una donna che a mio modesto avviso mai e poi mai sarebbe dovuta divenire insegnante. È tutto fuorché un esempio positivo per le sue alunne: infame, arrogante, manesca, falsa, cattiva e classista.
L'unica cosa davvero capace d'insegnare alle sue alunne sarà un vero modello da NON imitare.

Adelaide 


Guzzòn  


Iolanda Repovìk, 

storie 

di ordinaria 


ingiustizia

Sicuramente in questa storia la sorte più infelice è toccata ad Adelaide Guzzòn e Repovìk Iolanda, le due bambine povere che per pura sfortuna finiscono nella classe della signora Sforza.
Adelaide è quella più timida, più emotiva e soffre molto della propria condizione sociale che cerca sempre di migliorare stando al passo con le compagne. Iolanda invece ha un carattere più aggressivo, distaccato ed è decisamente più realista.
Adelaide è quella che conosciamo meglio. Vive in un casermone mezzo abbandonato in via Mercato Vecchio ed è la prima di sei figli. La sua famiglia è talmente povera che il padre è dovuto emigrare in Germania a lavorare come minatore. Dopo il crollo della miniera però, il padre è rimasto nuovamente disoccupato e pertanto non potrà più contribuire ad aiutare la famiglia.
La madre arrangia a fare le pulizie e spesso porta Adelaide con sé oppure la lascia a casa ad occuparsi dei fratellini più piccoli. Nella loro casa non vi è un bagno infatti non si lavano, Adelaide non ha una camera, non vi è nemmeno una vera cucina.
Viene regolarmente picchiata dalla madre per ogni minima cosa a cominciare da quando la maestra a tradimento le taglia le trecce, perché troppo sporche. La madre invece di prendersela con l'insegnante pesta per bene la figlia e la rapa a zero.
La famiglia le garantisce solo un pasto al giorno da dividere con gli altri fratellini ed a scuola oltre all'olio di fegato di merluzzo che assume verso le undici, si ferma al refettorio a consumare il pranzo gratuito messo a disposizione dall'istituto.
Adelaide a scuola cerca di studiare e di alzare la mano per rispondere ma la signora Sforza non la interrogherà mai per tutto l'anno, anzi cercherà ogni scusante possibile per espellerla.
Adelaide si assenta da scuola? L'insegnante non si preoccuperà minimamente di fare in modo che riceva i compiti per non farla restare indietro con le lezioni. Adelaide assiste ad una rissa tra due compagne? Prende 5 colpi di bacchetta sulle mani per il solo fatto di essere stata presente sulla scena. Così via discorrendo.
Adelaide ce la mette tutta per essere come le altre. Per cercare di farsi considerare; ma è una battaglia persa in partenza.
A Natale quando la maestra chiede alle alunne di portare vestiti e giocattoli usati da donare ai bambini poveri, Adelaide porta dei pattini a rotelle usati, ricevuti in dono da una signora dov'era andata a fare le pulizie.
La maestra ovviamente la scaccia in malo modo (c'è da dire che i regali che stavano raccogliendo erano proprio per loro) ma il culmine Adelaide lo raggiunge quando per cercare di imitare le compagne di classe che portavano sempre i fiori alla maestra, decide di farlo anche lei.
Non avendo soldi per il fioraio e non possedendo un giardino, un giorno per caso, vede una signora gettare dei fiori nella spazzatura.
Subito si precipita a raccoglierli e cerca di sistemarli e ravvivarli con l'acqua della fontana pubblica, buttando ovviamente quelli troppo malridotti. Viene subito scoperta ed espulsa dalla scuola.
Adelaide è talmente ingenua da non rendersi minimamente conto che la maestra vuole espellerla e che cerca ogni pretesto possibile per farlo. Si stupisce dell'aggressività della docente nei suoi confronti; e purtroppo non riesce a capire che il suo appartenere ad una classe sociale inferiore, fa di lei una reietta invisibile.
Dopo l'espulsione scolastica apprendiamo che la madre l'ha mandata a fare la domestica fissa in una famiglia. Se non fosse stata scacciata, la madre l'avrebbe mandata all'avviamento professionale. Non si saprà più nulla di lei.
Iolanda è meno ingenua e molto più disincantata dell'amica ed è quella che conosciamo meno. È la prima di sette figli ed è l'unica in casa sua a saper leggere. Del padre non si sa nulla. Nonostante sia la prima di sette figli, pare le siano morti tre fratelli e molti altri parenti. La madre è una donna avida, cattiva, manesca e pure meschina.
A Natale infatti, Iolanda riceve in regalo dalle tre protagoniste una bambola ed un cappotto elegante molto costosi. Per prevenzione però, lo zio di Elisa aveva fatto un accordo con il padre di Rosalba affinché in caso di necessità la signora Repovìk potesse restituire bambola e cappotto in cambio di qualcosa dello stesso valore.
Quando la madre di Iolanda vede i regali di Natale, non crede che siano dei veri regali, ma pensa subito che la figlia li abbia rubati.
Perciò picchia a sangue la bambina, ignora la lettera lasciatale dello zio Leopoldo dove veniva chiarita ogni cosa, e va a riportare i doni in casa Maffei.
Nonostante Iolanda sapesse leggere, non si prenderà neppure il disturbo di capire cosa ci fosse scritto nella lettera. Dopo il chiarimento verbale con lo zio Leopoldo, la signora restituisce tutto in cambio di abiti solo e soltanto per lei. Prima però aveva cercato di farsi dare direttamente i soldi, con grande vergogna della figlia.
Anche la madre di Adelaide farà lo stesso, restituendo il vestitino elegante e la pantera giocattolo che le tre bambine avevano comprato per l'amica.
Iolanda sa perfettamente che la maestra vuole buttarle fuori dalla scuola. Cercherà pure di farlo capire ad Adelaide ma senza risultato. Non ha paura della maestra e spesso la sfida. Infatti sarà la prima a venire espulsa subito dopo la fine di Febbraio.
Verrà mandata dalla madre in casa di parenti per imparare a fare la domestica. Sveva Lopez del Rio (la bambina più maligna della classe IV D) inizierà a spargere le voce che Iolanda è finita a fare la serva a casa di sua nonna, per vantarsi. Ovviamente lei stessa ammetterà di essersi inventata tutto.
Pure Iolanda se non fosse stata scacciata, sarebbe andata sicuramente all'avviamento professionale. Prisca scriverà addirittura una lettera al rettore scolastico nella speranza di farla riammettere, anche in un'altra classe.
Purtroppo però il direttore non prende minimamente sul serio una sola parola della sua lettera e liquida il tutto come piagnistei di una bambina ancora troppo piccola.
Una caratteristica davvero singolare delle tre protagoniste di questo libro è che cercano sempre CONCRETAMENTE di aiutare Adelaide e Iolanda. A fatti, non a chiacchiere. Con tutti i limiti che tre bambine di nove anni possono avere e sempre nel totale rispetto della sensibilità delle due bambine dei vicoli.
Nel libro la maestra si fa addirittura un vanto per averle fatte finire a fare le serve, com'era (secondo lei ) nel loro destino.
La maestra Sforza è un'insegnante che ha rubato il futuro di due bambine. Questo è tutto quello che c'è da dire. Null'altro che possa descrivere l'infamia e il disonore di questa persona.
La storia di queste due ragazzine rappresenta una vergogna senza fine di un paese che si vanta di essere civile; e cosa ancora più grave è che i pochi progressi fatti fino al giorno d'oggi stanno palesemente sparendo e riportando tutto all'indietro. Al tempo della barbarie, al tempo di Argìa Sforza.

Considerazioni 

finali

Questo è un libro che merita ASSOLUTAMENTE di essere letto. Ovviamente in relazione al target per cui è stato pensato, anche se io personalmente ancora adesso lo trovo piacevolissimo da leggere. Per molteplici motivi.

Il coinvolgimento: difficilmente troverete un romanzo capace di coinvolgere un bambino migliore di questo.
L'atmosfera è estremamente realistica, ma calata in un contesto che un bambino normale vive ed affronta tutti i giorni.
Il tutto viene descritto in modo estremamente colloquiale e familiare che facilita l'empatizzazione del lettore con le tre protagoniste.

Il linguaggio: Semplicità è la parola d'ordine. La comunicazione è semplice, diretta, chiara, senza fronzoli che parla direttamente al cuore di un bambino, e la fantasia straordinaria di Prisca Puntoni rende il tutto ancora più divertente da leggere.

Il messaggio: la componente morale e formativa è forte in questo libro. Qui assistiamo a tre bambine che nel loro piccolo cercano di avere la meglio contro una perfida insegnante ma in chiave realistica e divertente. Il bambino è portato a riflettere su vari temi: l'ingiustizia sociale, il rapporto con la famiglia, il dovere di studente, la società, la morale fra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Senza appesantire, senza opprimere, senza annoiare. La vera forza di questo manoscritto.
Ho letto questo libro quando ero una studentessa di quinta elementare. Ha segnato per sempre la mia infanzia e non l'ho mai dimenticato. L'ho letto e riletto così tante volte da sapere ancora oggi le battute a memoria. L'ho amato e lo amo a tal punto che avrei tanto voluto ne traessero una sceneggiato televisivo (o forse esiste ma io non l'ho mai sentito nominare).
Ancora oggi Ascolta il mio cuore troneggia nella mia libreria, dopo più di vent'anni. Un po' consumato, un po' ingiallito ed un po' spiegazzato sulla copertina (ha vissuto tanti traslochi)  ma è ancora lì col suo vibrante messaggio.
Un bambino che lo legge non lo dimentica mai e lo porta con sé per tutta la vita, soprattutto un bambino che il cuore lo sa ancora ascoltare.
Autore MLG

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