Una ferita che non rimargina
Una ferita che non rimargina
Regno
d’Inghilterra, palazzo di Sheen primavera del 1492
Passo cadenzato, espressione tirata e pochissima
voglia d’interagire con chiunque; così re Enrico VII d’Inghilterra percorre i
lunghi corridoi del palazzo di Sheen inseguito dai suoi più fidati ministri
Richard Empson ed Edmund Dudley che continuano ad ammorbarlo con gli ennesimi
problemi quotidiani relativi alla riscossione delle tasse.
Il re con la sua andatura più simile ad una corsa che
ad un normale incedere, si limita ad ignorare non soltanto i suoi principali
collaboratori, ma anche il cardinale Fisher e tutti i nobili incrociati lungo
il suo cammino, pronti a chiedergli qualche favore.
La situazione persiste fino a quando, all’ennesima
richiesta dal ministro Dudley su una questione relativa alle nuove tassazioni, Enrico
si volta di scatto e con un’espressione incendiaria si limita a fissarli tutti
palesando un'intenzione semi-omicida.
Questi, rimasti temporaneamente pietrificati dalla
furia silenziosa del loro re, realizzano che forse tutto sommato, non valeva la
pena turbare un sovrano particolarmente incline alle condanne a morte. Soprattutto
quando si trattava di questioni che avrebbero potuto risolvere tranquillamente anche
da soli. Certo, re Enrico era un maniaco del controllo ma era anche vero che la
sua pazienza era assai limitata.
Fisher, Dudley, Empson e gli altri dunque decidono che
il loro re in quel momento era preso da ben altre faccende. Pertanto si
limitano ad inchinarsi a lui per poi dileguarsi pochi secondi dopo, carichi del
peso delle carte che il re avrebbe dovuto firmare. Sarebbero andati dalla madre
del re, la contessa vedova di Richmond. Lei sì che era sempre propensa ad
ascoltare ogni questione di stato e senza innervosirsi.
Enrico a quel punto si volta e procede con la sua
andatura nevosa, col risultato che stavolta tutti si scostano per lasciarlo
passare ma non senza spiare dove sia diretto. Dopo averlo visto imboccare un
particolare corridoio, nobili, cortigiani e servitori non hanno più dubbi: sta
andando nell’appartamento della regina che guarda caso, quella mattina non si
era ancora vista.
Una volta giunto all’ingresso dell’appartamento della
moglie, Enrico osserva un capannello di dame intente a girare in tondo come
bocce in un campo, tutte intente a chiacchierare rumorosamente fra di loro.
Alla sua vista, queste fanno un balzo per lo spavento, ed immediatamente sprofondano
in un inchino. Lui le ignora ed entra con la sua ben nota malagrazia sbattendo
rumorosamente la porta.
Una volta entrato, trova sua moglie Elisabetta seduta
davanti alla finestra intenta ad ascoltare sua cugina lady Margaret Pole che le
parla a bassa voce seduta accanto a lei. Il tono è conciliante, consolatorio.
Poi alla vista di Enrico si zittisce. Elisabetta si gira e lo guarda con espressione
neutra mentre lady Margaret si alza e s’inginocchia come previsto dal
protocollo. Nessuno dice più una parola.
“Uscite lady Pole” replica secco il re.
La giovane si allontana immediatamente e senza farselo
ripetere. Nel giro di pochi istanti, i due coniugi restano soli. Elisabetta lo
guarda con un sorriso appena accennato, ma l’espressione è sempre la stessa,
quella che la caratterizza da una vita: velata tristezza.
Enrico si avvicina a lei e nota gli occhi gonfi e
arrossati. Poiché la moglie non appare fisicamente maldisposta o sofferente,
gli diviene subito palese la motivazione. Elisabetta agli altri poteva
raccontare come quello fosse l’effetto della primavera, ma lui la reale ragione
di quegli occhi gonfi la conosceva benissimo. Come la conosceva perfettamente anche
lady Pole.
“Cosa
ti ha detto!?” - Le chiede brusco - “Cosa accidenti ti ha detto?!” il tono è semi-isterico.
“Non
so di cosa parli Enrico” rispose Elisabetta con fare
noncurante.
“Non
provare a prendermi in giro. So tutto. So che ieri sera sei andata dalla regina
vedova, so che sei tornata stravolta, e so che hai passato la scorsa notte a
piangere e a dare di stomaco. Ho spie ovunque e le tue dame parlano tanto,
dovresti saperlo.”
“Sono
incinta Enrico. D’altronde … lo sai già.”
“Non
insultarmi mentendo, non lo sopporto. Ogni volta che vedi quella donna rientri a
palazzo così. Non è per la gravidanza. Perciò adesso voglio sapere cosa ti ha
detto quella donna ieri pomeriggio. Te
lo sto chiedendo con molta calma Elisabetta, perché poi passerò alle maniere
forti. Voglio sapere cosa ti ha detto quella donna.”
“Enrico
non so nulla sul ragazzo misterioso. Non ha detto una sola parola riguardo a
lui. Vorrei poterti essere di aiuto ma ti giuro che non ha detto nulla. E ammetto
di non averle nemmeno chiesto nulla su di lui.”
“So
benissimo che non ti ha detto niente. Non lo farà mai. Tanto tutto ciò che
voglio sapere su questa questione me lo riferiscono ogni giorno le mie spie. Tua
madre sta mandando denaro, il mio denaro, anzi il nostro denaro ci tengo a
sottolinearlo, a questo fantomatico ragazzo che nessuno ha mai visto ma che
sostiene di essere il tuo fratello redivivo Riccardo miracolosamente scampato
alla morte. So che sta usando i soldi che le passo regolarmente contro di noi.
So benissimo che è una serpe sbiancata pronta ad avvelenare la mano che la
nutre. Non è questo che m’interessa sapere.”
“E
allora cosa Enrico? Che vuoi sapere?”
“Cosa
ti dice per farti stare così male. Cosa fa quella maledetta donna per ridurti
così ogni volta. Mia madre ha sempre sostenuto che fosse una strega, ma non
avrei mai pensato al punto da avvelenare la propria figlia. Eppure sembra che mi
sbagli.”
“Enrico
sono discussioni vecchie che si ripropongono ogni volta. Non ti riguardano e
non hanno nulla a che fare con te. Non vale la pena che ti preoccupi.”
“La
salute di mia moglie e del mio futuro figlio hanno tutto a che vedere con me! Se
tu stai male è soprattutto un mio problema. Come posso fare il mio dovere se so
che quella serpe ti ha ridotta in questo stato? Mi dici come faccio?! Elisabetta
con le prove che ho in mano, potrei tranquillamente farla decapitare. Tu non
immagini neanche quanto mi farebbe piacere toglierla di mezzo. Ma non posso, perché
dobbiamo dare l’immagine della famiglia unita, della solidità del nostro casato
e della monarchia. Ma soprattutto, non voglio che mia moglie si trovi in una
situazione difficile e di ulteriore sofferenza.”
“Io
ti ringrazio molto di questo Enrico.”
“Quindi
che ti ha detto? Sto ancora aspettando.”
“Enrico,
con lei è sempre come camminare sulle uova. Non sai mai come reagirà a
qualunque cosa tu dirai o farai. Ha questi scoppi d’ira incontrollata e
comincia ad insultare pesantemente recriminando cose che si credevano morte e
sepolte anni prima. Odia te, accusa me per non averle dato di più da quando
sono diventata regina. Che sono una figlia orribile che la fa vivere isolata e
che mi devo solo vergognare. Non senza rimpiangere i poveri figli che ha perso.”
“Poteva
evitare di concordare il nostro matrimonio con mia madre se mi reputava così
tremendo. È stata lei a volere il nostro matrimonio non certo noi due. Ma era l’unico
modo per tornare nei palazzi del potere e questo lei lo sapeva benissimo. Non le è mai
importato niente di nessuno che non fosse sé stessa. Ha sfruttato suo marito,
ha sfruttato i figli maschi, ha sfruttato la figlia, e ora che si rende conto di
come tutto sommato investire sulla primogenita non sia stato il grande affare
che si spettava. Quindi adesso è pronta a vendersi al primo sconosciuto che dice di
essere suo figlio. Tu lo sai vero che anche se dovesse capire che il ragazzo
non è veramente Riccardo lei lo riconoscerà comunque?! Ne sei consapevole?”
“Certo
che lo so Enrico. So benissimo che se lui fingerà di essere mio fratello, lei
farà comunque finta di crederci. Meglio essere la regina madre, sia pur per
finzione, che la regina vedova.”
“Una
donna che è pronta a rischiare la vita della figlia e dei nipoti,
innegabilmente i SUOI, per uno sconosciuto che però può offrirle tutto ciò che
desidera al fine di poter reggere la commedia del ritorno degli York. Chi è la
donna che si dovrebbe vergognare esattamente?!”
“Inutile
fare questi discorsi con lei, Enrico. Non ti dà nemmeno il tempo di
risponderle. Inizia ad urlare finché la sua voce non sovrasta la tua e poi
inizia a lanciare tutto quello che trova in giro per poi andare a cercare
qualcuno da inserire nella conversazione che le dia ragione. Non è mai
possibile avere un reale confronto con lei. Sarà sempre l'eterna vittima della sua storia.”
“Chi ha chiamato in suo sostegno?”
“Una
dama che si occupa di lei. Non so come si chiami. Sai mia madre è sempre solerte a qualunque suo
bisogno, quindi è ovvio che le abbia dato ragione.”
“Sono
io che pago quella donna, non tua madre. Così come tutto il suo personale di
servizio.”
“Enrico
lei ha sempre fatto così. Riempie di attenzioni le persone che conosce da poco
ma non dura mai troppo a lungo. Perché dopo un po' di tempo inizia a
pretendere il doppio di quello che lei ti ha donato. Se lei ti ha dato uno,
rivuole indietro dieci. Per forza di cose poi si allontanano tutti, tranne quelli particolarmente
buoni che non vedono come è fatta veramente.”
“Vero.
Mia madre è stata al suo servizio per più di dieci anni e mi ha raccontato
queste cose. Non a caso, come regina non è mai stata particolarmente amata.
Quando tuo padre è morto qualcuno l’ha sostenuta per amore dei figli mentre
tutti gli altri le hanno preferito tuo zio Riccardo e consorte. Poi scomparsi i
tuoi fratelli, gli uomini fedeli a tuo padre hanno riversato il loro affetto su
di te. Lei dovrà vivere per sempre di luce riflessa e credo che lo odi più di
ogni altra cosa.”
“Ha sempre disprezzato gli York. Del resto, dalla nascita fino a quando non ha incontrato mio padre apparteneva ad una convinta famiglia Lancastriana. Sono passati dall’altra parte per mera convenienza e questo lo sappiamo tutti. Ha sempre velatamente mal sopportato mio padre ma soprattutto odiava tutta la sua famiglia. Si è messa subito contro mia nonna la duchessa Cecilia, le mie zie, i miei zii, tutti. Non ha mai voluto saperne di adattarsi e subito ha imposto se stessa, le sue regole, il suo parentado ed il suo modo di fare senza averne alcun diritto. Ma la colpa era sempre la loro che non l’avevano mai accettata. So che quando era sposata con il primo marito è entrata subito in contrasto con la suocera e rapidamente ha smesso di sopportare anche il marito. Si è fatta andare bene mio padre perché era il re. Lei all’inizio, sia pur a modo suo, pensava di poterlo gestire ma col tempo si è sbagliata di grosso. Mio padre era abituato a fare sempre a modo suo ed ha sempre vissuto come voleva lui, spesso infischiandosene di come le conseguenze delle sue azioni avrebbero potuto influire sulle vite degli altri. Quando è morto ho realizzato che mia madre era totalmente incapace di proteggerci, di consolarci o anche solo di sostenerci. Anzi, aveva addirittura la pretesa che fossero i miei fratellini a far da scudo a lei. Alla fine è scesa a patti con zio Riccardo, ma solo quando si è trovata con le spalle al muro. Quando si è vista privata delle sue uniche due ancore di salvezza. Noi siamo sempre serviti solo a quello.”
“Che
vuoi dire?”
“È
diventata una regina York ma lei è sempre rimasta Woodville. Ha sempre
ragionato da Woodville ed ha sempre vissuto in funzione dei Woodville. Per lei la priorità è
sempre stata soddisfare le aspettative della sua infinita famiglia di origine. Noi siamo nati per questo, prima ancora che per la corona. Non ha mai fatto nessuno
sforzo per andare incontro alla famiglia di mio padre. Certo loro erano
terribili, ma lei non si è mai veramente impegnata. Prima prepotente poi finta
vittima. Con la sua bellezza ed il suo fascino il gioco reggeva, ma solo
fintanto che non la conoscevi bene. Ha sempre avuto amicizie molto superficiali
perché erano le uniche a durare. Ed io invece, dovevo sorbirmi tutte le sue
lamentele e frustrazioni contro mio padre, contro tutti gli altri York, di cui
ero implicitamente colpevole di far parte. Sarebbe come se io passassi le mie giornate a lamentarmi di te
e sfogarmi sulle tue mancanze con nostra figlia Margherita. Mi ha usata fin da
piccola come cuscino dove riporre le sue frustrazioni perché non poteva
lamentarsi con nessuno. Ed io ho dovuto imparare a non contraddirla mai, perché
sapeva essere tremenda con i suoi silenzi punitivi.”
“Non
ti parlava?”
“La
prima volta avevo quattro anni. Eravamo nell’abbazia di Westminster e Warwick
ci dava la caccia da mesi per ucciderci. Mio fratello Edoardo era appena nato e
non faceva altro che urlare di giorno e di notte per non so quale motivo. Io
cercavo di tenere tranquille Maria e Cecilia che all’epoca avevano due e un
anno. Mi scappò detto che la nostra governante avrebbe capito quale problema
avesse mio fratello e che avrebbe potuto facilmente aiutarlo. Lo interpretò come
un insulto a lei e come io preferissi la nostra governante a lei. Non mi ha parlato per
un mese, ignorandomi completamente. Mi dava solo ordini con tono freddo e
brusco quando necessario. È stato tremendo Enrico. Io dipendevo completamente
da lei e non sapevo come fare per uscire da questa situazione. Alla fine mi
sono scusata e le ho detto che era la mamma migliore del mondo, ossia quello
che voleva sentirsi dire. Non pensavo quello che dicevo, a me importava solo
venirne fuori. Ed infatti ebbi successo. Da allora capii che per far funzionare il nostro
rapporto, io non dovevo mai contraddirla e soprattutto non avrei mai dovuto
creare problemi. E questo ho fatto tutta la mia vita. Non ho mai creato
problemi ed ho cercato di sollevarla dai suoi quando ho potuto. Ma non bastava
mai. I preferiti erano Edoardo e Riccardo perché erano sempre adoranti nei suoi
confronti e non la contestavano mai; poi c’era Maria, la sua figlia prediletta.
Penso che se avesse potuto, avrebbe cercato di farti sposare con lei. È morta
quando c’è stata l’epidemia di peste bubbonica. Fu un periodo tremendo; mio
fratello Giorgio di soli due anni e mia sorella Maria di quattordici anni. Li
ha persi per sempre e non ha potuto farci nulla.”
“Perché
Maria era la sua preferita?”
“Perché
era uguale a lei. Fisicamente e caratterialmente. Era anche la preferita di mio
padre a dirla tutta. Papà mi voleva bene ma lei veniva prima, perché era sempre
allegra e solare oltre che bellissima. Mia madre invece era un continuo
sottolineare quanto io fossi più York che Woodville. Non mancava mai di
sottolineare con disprezzo come avessi ereditato tutti i difetti fisici degli York e non assomigliassi
abbastanza ai fantastici Woodville. Non ero bella come loro, non ero scaltra
come loro, né sagace come loro, o intelligente come loro e via discorrendo.
Enrico tu sei figlio unico e sei pure maschio. È una pena che non conosci e che
per tua fortuna non potrai mai comprendere. Quando Maria è morta, avrei dovuto
dolermi perché era la sorella a me più vicina. Invece non ho provato nulla. Mio
padre ha iniziato a considerarmi di più quando lei è scomparsa e mia madre … beh tra
me e Cecilia ero comunque meglio io. Cecilia è sempre stata troppo ribelle per
andare d’accordo con mia madre. Mentre le altre mie sorelle erano semplicemente
troppo piccole.”
“Quindi
eri contenta della morte di tua sorella?”
“Vivo di sensi di colpa e mi confesso ancora ogni giorno per questo. Non ho mai amato nessuno dei miei fratelli, per me sono sempre stati soltanto un dovere. So che nessuno dei miei genitori mi apprezzava particolarmente. Voglio bene a Margaret ma non perché sia mia cugina. Lei ha perso sua madre a tre anni, e vorrebbe che fossi più comprensiva verso la mia. Ma lei come tutti, non l’ha mai veramente conosciuta, conosce solo i sorrisi e le vane parole di affetto che elargiva le rare volte che la incontrava. Non sa che se è povera e senza un soldo è soprattutto mia madre che deve ringraziare. Ma penso che anche se lo sapesse, mi direbbe comunque di avere pazienza e di volerle bene. Mi dice che devo capirla e che quando morirà me ne pentirò.”
“Ignorala.
Non ha gli strumenti necessari per capire”
“Non
riesco a dirle nulla. Poi penso a suo fratello Eddy che invece … mi dà fastidio e me ne vergogno tanto, perché so che non ha colpa. Suo padre ha
cercato di rovinarci la vita in ogni modo possibile e non riesco a
dimenticarlo. Assomiglia così tanto a mio zio Giorgio … è un cugino che non
potrò mai amare, che Dio mi perdoni. La sua debolezza mentale mi disturba perché
lo sento solo come un ulteriore peso da portare e sopportare. Un peso che non
ho chiesto e di cui non ho responsabilità. Dopo che mio padre è morto mi sono
sentita oppressa dal dovere di compiacere mia madre, di dare un futuro alle mie
sorelline, di proteggere i miei cugini superstiti e che grazie a mia madre di fatto non
avevo mai conosciuto. Il tutto mentre cerchi di essere una brava regina, una buona moglie
e dare a tuo marito dei figli adatti al trono. Vorrei tanto dirti che ce la
faccio Enrico, vorrei tanto dirti che riuscirò a fare tutto bene. Ma non ci
riesco. Non so se ci riesco, non ne ho più le forze. Per questo trascorro poco
tempo a corte, ogni nobile che vedo mi ricorda il regno di mio padre e ad
ognuno di loro è associato il dolore di un tradimento. Cerco di stare lontana
dai nostri figli, perché so che non sarei per loro una buona madre per quanto possa
amarli. Preferisco che stiano con governanti che potranno accudirli al meglio. Mi
confesso ogni giorno per dolore o per sensi di colpa. Perché per quanto mi sforzi,
io non posso donare ciò che non ho.”
“Allora
perché? Perché vai a trovare tua madre sia pur sporadicamente? Perché ci vai se
tutto questo ti fa solo male?!”
Elisabetta lo guardò con gli occhi gonfi di lacrime.
“Perché
la parte più piccola di me aspetta ancora le sue scuse. Aspetta che lei si
penta, che mi chieda perdono e che cerchi di essere una madre migliore per il
tempo che le resta. In modo che la ferita dentro di me possa rimarginare. Ma
non è mai così. Non va mai così. Devo accettare che quelle scuse non
arriveranno mai e che lei non mi amerà mai più di quanto ami sé stessa. Devo accettare
il fatto che sono solo un tentativo fallito di essere un prolungamento del suo
ego. Devo accettare che lei non mi vedrà mai. Indipendentemente da ciò che sono o che diventerò.”
Enrico a quel punto, con gli occhi pesantemente
inumiditi, si siede accanto alla moglie e l’abbraccia forte schiacciando il
proprio viso contro la guancia di Elisabetta, in modo che lei non possa vedere
le sue lacrime silenziose.
“Sai
Elisabetta, io non ho mai conosciuto mio padre e ammetto che mio zio Jasper ha
saputo sostituirlo in modo eccezionale. In verità nemmeno mia madre mi conosce davvero
e so benissimo che anche lei mi ama in quanto espressione delle sue ambizioni. Credimi,
di questo ne sono ben consapevole anch’io. E come te, non ho la più pallida
idea di come amare i nostri figli. So solo che tutto ciò che posso fare per
loro, è annientare chiunque possa mai danneggiarli. Però voglio che tu sappia sempre
una cosa: il popolo ti ama. I nostri cortigiani, i nobili, le dame al tuo
servizio ti amano. I nostri tre figli ti amano. Ma soprattutto io ti amo più di
tutti loro. Anche se siamo nati per essere nemici, ti amo ogni giorno di più perché
le tue ferite sono uguali alle mie. Vorrei che l’amore di tutti quanti noi fosse
abbastanza per te. Vorrei che tu capissi che sei migliore di qualunque altra
regina questo Paese abbia mai visto. Una donna che ha il cuore spezzato, metà bianco e
metà rosso ma non permette mai a nessuna delle due parti di prevalere sull’altra,
per rispetto e amore verso tutte le persone che ha intorno.
Vorrei riuscissi a vederti con gli occhi di tutti noi, Elisabetta. Vorrei che
semmai decidessi di tornare a trovare la regina vedova, tu tenga sempre a mente
che lei è qualcosa che va al di là del tuo aiuto. Dio ha voluto che tu fossi la
principessa di York e ci sarà un motivo. Questo nessuno potrà mai negartelo, nessuno potrà mai disconoscerlo.
Ti prego, giurami di non dimenticare mai che l’amore di tutti noi sarà sempre più forte del dolore causato da quella ferita che porti ancora dentro di te.
E ti prometto che un giorno o l'altro, insieme, riusciremo a farla rimarginare."
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