La vergine guerriera

  LA VERGINE GUERRIERA





30 Maggio 1431, Rouen, Francia

Ore 09.00 del mattino

Un cielo scuro e grigio, carico di nere nuvole temporalesche, si staglia denso come fumo nel grande cielo della Francia inglese.

Gli edifici della piazza del mercato vecchio si ergono imponenti come mostri silenziosi, pronti ad avvolgere con la propria ombra minacciosa, tutti coloro che osano porsi sotto di essa.

Non sembra un luogo di gioioso viavai, né tantomeno un qualcosa che suggerisca la classica vivacità dei mercati cittadini; ma al contrario appare come un luogo semi desolato, oscuro, animato dal solo soffiare di un vento di tempesta.

La quattordicenne Giacometta di Lussemburgo nell’osservare un simile trionfo d’oscurità, non può fare a meno di rabbrividire nonostante l’ormai tiepida aria primaverile.

Come ordinato da suo padre, ha indossato un abito celeste ed un magnifico cappello a cono da cui pende un lungo strascico in seta. Deve vestire con colori che rappresentano la serenità, poiché la cerimonia che sta per tenersi sulla pubblica piazza è un avvenimento più grande ed importante persino della Pasqua stessa.

Sta per verificarsi una vera e propria liberazione, e lei come tutte le donne della sua famiglia, deve ostentare colori dalle tonalità allegre e rasserenanti. 

Giacometta avanza lentamente accanto alla madre Margherita del Balzo e alla zia Jeanne de Bèthune, anche loro bardate con lussuosi abiti dai colori sgargianti. Le tre silenziosamente scortate dalle varie guardie, si accalcano presso il grande palco in legno allestito appositamente per loro.

La ragazzina non può fare a meno di notare l’incredibile fiumana di persone venute ad assistere all’esecuzione: ci sono davvero tutti: ricchi altolocati come loro, ecclesiastici, fino ad arrivare ai più poveri e cenciosi mendicanti di Francia.

Il duca di Bedford non aveva in alcun modo ostacolato la ressa, anzi se n’era addirittura compiaciuto; del resto era stata sua la volontà che tutti ma proprio tutti, dai più vecchi ai più giovani, avessero modo d’apprendere la dura lezione che ivi sarebbe stata impartita.

In realtà nonostante la colorata apparenza, nessuno sorride. Anche sua madre e sua zia hanno un’espressione tetra e funerea mentre salgono mantenendo lo sguardo fisso ma rigorosamente basso. Giacometta dal canto suo, non può far altro che imitarle, riflettendo su quanto il potere del duca inglese fosse considerevolmente cresciuto e di come persino la sua famiglia ora lo temesse.

Lei era la primogenita del conte di Lussemburgo, il primo vassallo di Filippo il buono, il duca di Borgogna. Una famiglia potente e leale che aveva sempre seguito il proprio signore in tutte le decisioni politiche, compresa quella d’allearsi con il regno d’Inghilterra il quale ormai da molti anni aveva invaso il nord della Francia.

Re Enrico V d’Inghilterra sfruttando il precario stato di salute di re Carlo VI ed i conflitti intestini in seno alla sua famiglia, si era letteralmente appropriato dell’intero nord, cominciando proprio dalla Normandia, il ducato da cui secoli prima paradossalmente era partita la conquista della stessa isola inglese ad opera di Guglielmo il bastardo.

Il duca di Borgogna aveva scelto d’allearsi con il re inglese e di supportarlo nell’invasione. Re Enrico V infatti aveva sposato la principessa Caterina, la figlia di re Carlo, ed era ben determinato ad impadronirsi dell’intera Francia. Un eccezionale guerriero, dal fascino e dal carisma indiscusso; specie dopo il disastro della battaglia di Azincourt, che con il trattato di Troyes aveva diseredato ufficialmente il delfino Carlo, il giovane fratello della principessa Caterina.

Pertanto il malato e demente re francese ed il suo erede non potevano certo rappresentare un ostacolo sufficiente alla furia dell’ambizioso monarca inglese. In tutto questo i Lussemburgo aveva appoggiato l’invasore più per mantenere al sicuro i propri domini che non tanto per convinzione personale. 

Le cose erano rimaste in bilico fino alla morte di re Enrico, deceduto durante i combattimenti a causa di un’infezione. Sul trono aveva lasciato un figlio di appena nove mesi, re Enrico VI d’Inghilterra. A quel punto i due zii del re neonato, il duca di Bedford ed il duca di Gloucester, avevano assunto la reggenza.

I due fratelli si erano spartiti i compiti: Bedford avrebbe proseguito la politica estera dell’invasione francese, mentre Gloucester si sarebbe occupato di politica interna accanto al nipote.

In virtù di questo, Giovanni Plantageneto del casato di Lancaster non si era assolutamente risparmiato; aveva messo a ferro e fuoco gli oppositori e cercato delle mediazioni nei territori già conquistati, ma comunque profondamente insofferenti al dominio inglese.

Giacometta quel poco che sapeva di lui l’aveva sentito raccontare dai suoi genitori; parlavano di un uomo con un profondissimo senso del dovere e dotato di un’abnegazione pressoché totale nei confronti dell’Inghilterra e del reale nipote. Forse per la memoria del defunto fratello, chi poteva saperlo con certezza. 

Di contro non era per nulla incline al compromesso e quindi di una pericolosità incredibile. Non esitava a passare sopra qualunque ostacolo potesse interporsi fra lui ed il futuro regno del nipote tanto vagheggiato dal compianto fratello. Perciò nessuno era riuscito ad opporsi alla sua presenza e quella guerra infinita per il possesso della Francia sembrava non finire mai.

Invece qualcosa era accaduto. Qualcosa di potente, di strano, di assurdo, in una parola: miracoloso. Qualcosa che nemmeno lord Bedford avrebbe mai potuto immaginare.

La chiamavano Giovanna. Giovanna d’Arco per la precisione. Una giovane vergine originaria di uno sperduto paesino della Francia. Figlia di un aratore, una ragazzina ignorante e senza alcuna istruzione. Una delle infinite donne senza nome che popolavano l’intero occidente cristiano, allevata per cucire, pulire, cucinare; e magari qualche volta aiutare gli uomini con i raccolti e gli animali. Una ragazza che a detta di molti, era dotata già da bambina di una fede straordinaria, che la portava a trascorrere intere giornate nella preghiera.

Ad un certo punto, senza alcun motivo e senza alcuna ragione apparente, questa ragazza a soli tredici anni aveva iniziato ad udire delle “voci” almeno così come lei le definiva. Voci che erano diventate sempre più forti, sempre più insistenti che la chiamavano ad adempiere una missione ben precisa: liberare la Francia dagli inglesi e restituirla al suo legittimo re, il delfino Carlo.

Giovanna dopo una tremenda paura iniziale, aveva deciso di non poter ignorare la volontà di Dio ed avrebbe identificato in quelle voci l’arcangelo Michele, santa Caterina e santa Margherita.

Perciò si era allontanata dai giovani del suo villaggio, aveva rotto il fidanzamento stabilito per lei da suo padre e come un profeta aveva seguito la nuova consapevolezza.

Ogni qualvolta fosse in corso una battaglia per il destino della Francia, le voci nella sua testa diventavano sempre più forti. Perciò durante una visita ad una sua cugina, aveva convinto il di lei marito a farsi accompagnare senza il permesso dei genitori dal capitano della fortezza di Vaucouleurs. 

Giovanna si era fortemente convinta di essere lei “La vergine in marcia dalla Lorena”, ossia colei che era destinata a salvare il regno di Francia. Era una profezia che girava da tempo in tutto il territorio, ma nessuno vi aveva mai creduto veramente. Ed infatti non era stata creduta. Il capitano profondamente infastidito, l’aveva rimandata a casa dopo averla schiaffeggiata.

Ma lei non si era arresa perché nessun uomo avrebbe mai potuto impedire la volontà di Dio. Perciò era nuovamente tornata a Vaucouleurs sotto la protezione di una famiglia borghese che invece le aveva creduto ed era ben decisa a sostenerla.

Giovanna con il tempo era diventata sempre più conosciuta, sempre più famosa. Riusciva persino a curare le malattie, tanto che il duca Carlo di Lorena era arrivato a supplicarla di liberarlo dai alcuni suoi mali. Giovanna aveva accettato a patto che lui si liberasse della sua peccaminosa amante e le inviasse una scorta guidata da Renato d’Angiò. Questi era genero del duca e cognato del Delfino; lo scopo era quello di liberare finalmente la Francia.

Ed alla fine era stata accontentata; infatti era giunta da lei una scorta di sei uomini. Giovanna prima di partire aveva pregato a lungo nella chiesa di Saint Nicolas de Port, il santo patrono del duca e poi si era messa in viaggio con abiti maschili e con i capelli tagliati esattamente come un uomo.

Giacometta nemmeno riusciva ad immaginare una donna con il coraggio di andare in giro vestita da ragazzo e con i capelli rasati sulla nuca; al solo pensiero ne provava un brivido di paura, ma al contempo di profonda ammirazione. Una ragazza che osava sfidare l’ordine precostituito e che lo faceva addirittura per volere divino.

Alla fine Giovanna era arrivata al cospetto del Delfino, il quale volutamente si era presentato a lei in abiti semplici e mescolato ai suoi cortigiani. E lei, una giovane che non aveva mai visto il re, né il Delfino né tantomeno una corte reale, l’aveva subito riconosciuto fra tutti. 

Era stata la voce dell’arcangelo a dirle chiaramente chi fosse l’uomo che avrebbe dovuto servire nel nome di Dio.

Carlo si era così convinto, e l’aveva ascoltata in un colloquio privato circa due giorni dopo.

In molti alla corte di Francia le avevano creduto ed avevano ascoltato le sue profezie dopo essersi sincerati della sua femminilità e verginità.

E lei aveva parlato, conversando persino di fronte a medici, chierici e teologi senza mai cedere o confondersi. Giovanna era davvero un qualcosa che andava ben oltre una povera contadina cresciuta in mezzo alle pecore. 

Tuttavia c’erano cose che aveva predetto più chiaramente di tutte: che Orléans sarebbe stata liberata dal dominio inglese, che il Delfino sarebbe stato incoronato a Reims come legittimo re di Francia, che avrebbero riottenuto Parigi e che il parente del re, il duca d’Orléans, sarebbe stato presto liberato.

E la giovane vergine alla fine aveva mantenuto tutte le sue promesse. 

All’inizio aveva viaggiato con l’esercito francese più come una sorta di figura motivatrice che come membro effettivo dell’esercito; ovunque andasse riusciva a diffondere il coraggio e l’entusiasmo nel cuore di un popolo che aveva perso persino l’orgoglio di liberarsi dal giogo straniero. Poi dopo l’incoronazione di Carlo a Reims, l’attacco alla sovranità inglese era divenuto definitivo.

E non solo; Reims era il territorio controllato dal duca di Borgogna, il signore della sua famiglia. Il guanto di sfida adesso era stato ufficialmente lanciato anche a loro. Giovanna pare avesse inviato anche una lettera al loro signor duca chiedendo la pace. Questi probabilmente, doveva aver gettato nel fuoco la missiva mandata dalla piccola intrigante bugiarda che vestiva da uomo e si atteggiava pure ad ambasciatrice.

Il duca di Bedford per la prima volta in vita propria, si era trovato a dover fare i conti con nemici sempre più insofferenti e rivoltosi ma soprattutto capeggiati da una donna. 

Una donna che sosteneva di essere stata mandata da Dio per distruggere l’operato dei Plantageneti e ricordare per sempre loro quale fosse il posto da loro occupato nella gerarchia del mondo terreno.

Lord Bedford non poteva accettarlo; era un uomo, inglese e di sangue reale. Tre combinazioni molto pericolose. Non poteva sottostare ad un qualcosa che lui stesso non era in grado di comprendere. 

Perciò quando era venuto a sapere che Giovanna a Parigi si era messa alla testa di un esercito e che stava annientando la resistenza inglese armata e pericolosa come un qualsivoglia comandante francese, aveva deciso che quell’abominio, quella bestemmia all’ordine precostituito doveva sparire. Giovanna non poteva essere una donna normale anzi non poteva neanche essere una donna. Era sicuramente una creatura del demonio e come tale sarebbe stata trattata.

Dopo aver mantenuto le quattro promesse che aveva fatto al suo re, la stella della giovane donna aveva però iniziato a brillare sempre di meno. 

Infatti durante l’assedio di Compiègne, suo padre assieme a suo zio erano riusciti a catturarla. Un arciere l’aveva colta di sorpresa e gettata giù da cavallo per poi immobilizzarla; e così Giovanna era finita nelle mani della sua famiglia: i Lussemburgo.

I due uomini avrebbero voluto consegnarla subito al duca di Bedford, ma non avevano potuto in quanto del tutto inaspettatamente, l’anziana pro zia Jeanne era intervenuta chiedendo la custodia della ragazza, la quale sarebbe vissuta sotto la sua protezione allo Chateau de Beaurevoir. Dato che la nobildonna possedeva un patrimonio notevole, il timore di venire diseredati in quel momento era stato più forte dello stesso lord Bedford.

La Demoiselle non aveva saputo resistere all’idea di poter ospitare la famosissima giovane nel suo castello; Giacometta sapeva molto bene come la sua pro zia fosse sempre stata una donna intelligente, riflessiva ma soprattutto profondamente affascinata da quelli che lei stessa definiva “I misteri della fede” e non nel senso canonico del termine.

Anche se la curiosità era stata fortissima, Giacometta non aveva potuto chiedere ai genitori di poter andare in visita dell’anziana parente al fine di conoscere la straordinaria vergine guerriera. 

Ci era andata soltanto sua zia Jeanne in compagnia della figlia di primo letto, Jeanne de Bar. 

I suoi genitori non le avrebbero mai consentito di avere a che fare con una nemica del duca inglese, perciò aveva solo potuto immaginare per giorni le tre dame tempestare Giovanna di domande circa le sue voci.

Il fatto che la potente congiunta si stesse letteralmente inimicando l’alleato inglese per proteggerla, significava che le risposte di Giovanna dovevano essere davvero convincenti. Durante la permanenza in casa dell’anziana nobildonna, Giovanna aveva tentato due volte di fuggire sfruttando la debolissima sorveglianza voluta dalla signora del maniero. Si era persino gettata dalla finestra, ma era stata subito catturata e riportata nel suo appartamento.

Giacometta spesso quando partecipava alla messa, non poteva fare a meno di fantasticare sul parlare con Giovanna e sentirla raccontare di Dio; ma al di là di tutto proprio non riusciva ad immaginare una giovane donna incapace di avere paura perché consapevole di avere al suo fianco gli angeli e Dio.

Un Dio che tuttavia, in qualche modo doveva aver deciso che il suo tempo sulla terra stava per terminare.

La povera prozia aveva lottato come una leonessa contro la sua cronica malattia ma alla fine era stata sconfitta. La perdita della potente protettrice aveva consegnato nuovamente Giovanna nelle mani degli uomini Lussemburgo. 

Questi all’inizio avevano proposto un riscatto nella speranza che i francesi venissero a liberare la loro beniamina; ma purtroppo non era andata affatto così.

Mentre Giacometta si siede sulla sua panca, timida e silenziosa accanto alla madre ed alla pallidissima zia, in lontananza vede lord Bedford camminare accanto al cardinale di Winchester. I due parlottano animatamente fra loro, ma hanno l’aria d’essere perfettamente d’accordo. Due avvoltoi che si preparano a pasteggiare sul cadavere di una ragazza che evidentemente non erano riusciti a piegare.

I francesi non avevano pagato per riavere Giovanna. 

Dopo la sua cattura, si diceva che Carlo in accordo con il duca d’Orleans, avesse organizzato tre “missioni segrete” volte a liberare Giovanna. Carlo le era sicuramente devoto ma gli uomini della sua corte ed i consiglieri molto meno. Questi ritenevano che il ruolo della santa vergine fosse ormai concluso. 

Potevano andare avanti senza di lei, ormai non serviva più. 

Era diventata troppo pericolosa.

A peggiorare il tutto, Giovanna già durante l’assedio di Parigi aveva combattuto da sola, portando avanti la battaglia ignorando completamente l’ordine di ritirata. Ormai la ragazza agiva per conto proprio, e stava diventando molto più popolare di quel re che i francesi avrebbero dovuto idolatrare al posto suo.

Perciò i Lussemburgo a quel punto l’avevano consegnata agli inglesi con a capo un duca di Bedford che rapido come un falco aveva pagato i trenta denari necessari per riscattarla.

C’era stata un’indagine preliminare, poi un vero e proprio processo durato quasi quattro mesi. Per il popolo Giovanna era una santa, non potevano certo ucciderla come una bestia. Occorreva quindi trovare una valida motivazione o meglio ancora, un’ottima giustificazione. 

Perciò dopo averla imprigionata nella Torre del castello di Rouen trattata come una prigioniera di guerra, l’avevano interrogata di continuo con mille domande a trabocchetto volte soltanto a confonderla ed interrompendola di continuo. Alla fine era stata apostrofata come una bugiarda fino a farla ritrattare. 

Tuttavia quella resa a lord Bedford non era bastata; Giovanna doveva morire perché lei rappresentava un pericoloso precedente che non sarebbe mai più dovuto esistere. E contro ogni aspettativa, in seguito era stata la stessa Giovanna a disconoscere la propria confessione, pentita di aver tradito il suo Dio per paura di morire.

Giovanna era una donna che aveva abbandonato la famiglia, indossato abiti da uomo, disconosciuto l’autorità della Chiesa e le sue voci non erano altro che sussurri del demonio. Era un’eretica, un’apostata, una bugiarda bestemmiatrice. Questo era il volere della Chiesa e dell’Inghilterra. Ma forse, anche della stessa Francia. Il suo destino pertanto, poteva essere solo quello di morire.

Ed ora Giacometta era seduta lì, presente a quello spettacolo al pari di altre donne che si trovavano loro malgrado a dover imparare la lezione più importante di tutte: una donna non può e non deve essere come un uomo. Nemmeno se è stato Dio stesso a deciderlo.

Giacometta osserva in silenzio seminascosta dal suo lungo velo, il piccolo carro che trasporta Giovanna vestita con un telo in zolfo assieme al boia Geoffroy Thèrage. Ha i capelli rasati a zero ed in testa la mitra della vergogna; poi con mani e piedi incatenati, avanza curva e sbilenca verso la piattaforma in muratura allestita per ucciderla. 

Pare si fosse sentita male diversi giorni prima e lord Bedford aveva solertemente mandato il medico personale della moglie per guarirla. Sarebbe stato lui ad uccidere Giovanna, nessun’altro.

La ragazza ha a malapena diciannove anni e la sua figura alta e slanciata è solo un vago ricordo; infatti dal volto tumefatto s’intuisce come abbia subito delle percosse.

Poi camminando a fatica viene spintonata, trascinata e legata davanti a tutti, compresi i due frati domenicani che poco prima le avevano somministrato l’eucarestia ed ascoltato la sua ultima confessione. 

Giacometta attraverso la stoffa leggera, riesce solo ad intravedere quel volto piagato e ricoperto di lacrime che dichiara a voce alta davanti a tutti, di non aver mai mentito e di aver operato solo e soltanto per amore di Dio. Il boia la fissa completamente inebetito e non ha il coraggio di continuare; perciò a quel punto, uno dei soldati inglesi lo spintona al fine di smuoverlo.

Giovanna si è inginocchiata e supplica a gran voce di poter ricevere una croce e nel contempo perdona tutti coloro che l’hanno voluta distruggere. Un soldato inglese impietosito, le pone fra le mani due rametti legati a forma di croce. Poi le viene sistemata frettolosamente dinanzi, un altro crocifisso preso dalla chiesa.

IL boia con uno sguardo saettante cerca disperatamente un modo per evitare un eccessivo dolore alla condannata ma è tutto inutile; c’è troppa legna e la piattaforma è stata sistemata appositamente per bruciarla viva. 

Alla fine con occhi sbarrati e lacrime che sgorgano contro la sua stessa volontà, Thèrage appicca il fuoco disonorando sé stesso.

Giacometta a quella vista serra immediatamente gli occhi ma al posto delle immagini, rimbomba nella sua mente il suono del crepitio delle fiamme e Giovanna che chiede l’acqua santa. 

Infine nelle sue orecchie echeggia potente come un tuono l’ultimo grido di Giovanna sulla Terra, il quale evoca il nome di Gesù Cristo proprio come aveva fatto lui secoli prima, chiamando il nome di Dio Padre. In seguito l’insopportabile odore della pira infuocata farà morire la vergine per asfissia. 

Lord Bedford poco dopo da ordine di spegnere le fiamme affinché tutti vedano che Giovanna è morta. 

Poi il corpo viene bruciato un’altra volta per diverse ore, fino a far esplodere tutti gli organi interni. 

Giacometta in tutto questo, continua a mantenere le mani serrate nella preghiera, tremando convulsamente nascosta sotto il velo e piangendo copiosamente. Alla fine rimangono solo il cuore e le viscere che vengono cosparse di olio e pece per farle bruciare completamente.

Al termine dell’operazione, Lord Bedford sorride soddisfatto. Di Giovanna non è rimasto nulla, resta solo da annientarne il ricordo; e per quanto ne sa lui, sarà per sempre quello di una strega che è riuscita liberare la Francia ascoltando le voci del diavolo.

In tutta la piazza è calato un pesante silenzio. Molti uomini osservano straniti la pira, primo fra tutti lo stesso boia. Qualcuno trema visibilmente e le nuvole nere all’orizzonte ricordano le ore successive alla morte del Cristo.

Qualcuno ha il coraggio di urlare che è stata ammazzata una giovane innocente ed il duca prontamente si assicura che venga allontanato e silenziato per sempre.

Giovanna d’Arco è una storia finita. E chiunque ritenga il contrario, potrà tranquillamente raggiungerla nella tomba.

Mentre gli spettatori si allontanano in silenzio, Giacometta per qualche secondo rimane a fissare gli occhi di lord Bedford ancora ardenti dello stesso fuoco con cui era stata bruciata l’unica donna al mondo che aveva avuto il coraggio non di essere diversa, ma semplicemente come Dio l’aveva creata.

Nella mente della ragazzina le tornano in mente le parole che si diceva Giovanna avesse riferito ai suoi inquisitori appellandosi al Santo Papa:

“Sull’amore o l’odio che Dio ha per gli inglesi, non lo so, ma sono convinta che saranno cacciati dalla Francia, tranne quelli che muoiono su questa terra”

Lord Bedford forse poteva illudersi di aver annientato Giovanna d’Arco; ma di sicuro non aveva il potere di distruggere ciò che Dio aveva ed avrebbe ancora realizzato, attraverso di lei.


Commenti

Post più popolari